Antonio Muci - Gli Anemoni di Mare

Questa settimana la rubrica AQUA Taste ha voluto dedicare un approfondimento agli “anemoni di mare”, protagonisti della ricetta proposta dal nostro chef Cosimo Russo e pubblicata lo scorso 5 maggio. 
Abbiamo chiesto ad Antonio Muci, giornalista professionista ed esperto di enogastronomia, di raccontarci le caratteristiche, le proprietà nutrizionali, gli usi in cucina, gli aneddoti e tanto altro.

LE ATTINIE

L’anemone di mare fa parte della famiglia delle attinie, organismi marini celenterati, parenti dei coralli e delle meduse. Ci sono centinaia di specie, ma quella che ci interessa è l’Anemonia sulcata, che vive in tutto il Mediterraneo dalle acque basse fino a una profondità superiore ai dieci metri. Ciascuna ha circa duecento filamenti urticanti, che vanno da un color crema opaco a un verde con punte violacee, a secondo che viva o meno in simbiosi con un alga che sintetizza clorofilla. Da un punto di vista scientifico, ricerche recentissime, condotte presso l’Università di Vienna, attribuiscono all’anemone la qualità di mostro genetico: accanto a un Dna che lo colloca nel regno animale ci sono infatti, nella catena del micro Rna, serie analoghe a quelle di alcune piante. Insomma: una duplice natura genetica, un po’ animale, un po’ pianta.

I filamenti contengono un veleno fortemente urticante che serve all’anemone per ghermire piccoli pesci o crostacei che costituiscono la sua dieta. Occorre attenzione nel manovrarli, in quanto si spezzano facilmente e restano attaccati alla pelle provocando piaghe dolorose. Come la maggior parte dei “veleni” marini, anche quello delle attinie è termosensibile: sciacquare la pelle con l’acqua calda, può bastare a volte ad eliminare il dolore. Che sia commestibile, del resto, i popoli del Mediterraneo lo sanno da millenni: il caldo abbatte il veleno, lasciando intatto il sapore forte, dato principalmente da sali minerali filtrati dall’attinia e ingeriti con pesci e crostacei. Ma è proprio la neurotossina alla base del veleno a rappresentare una speranza per la farmacologia moderna. Da essa gli scienziati dell’università della California hanno sintetizzato un composto, si chiama SHK 186, utilizzato per realizzare un farmaco efficace contro malattie autoimmuni, come il lupus eritematosa e la sclerosi multipla. Nel corso di questa ricerca, gli scienziati si sono accorti con meraviglia che questo composto, somministrato a cavie animali sottoposte a diete con eccesso di zuccheri e di grassi, contrastavano efficientemente la sindrome metabolica, riducendo glicemia e colesterolemia e migliorando i processi di steatosi epatica. Gli studi continuano e passeranno dalle cavie all’uomo: la prospettiva è di favorire un migliore metabolismo e il dimagrimento.

In attesa che l’attinia (il suo estratto) ci faccia dimagrire, continuiamo a mangiarla per il suo sapore, forte, di sale e di iodio, un concentrato del mare, con un retrogusto minerale che racconta la roccia a cui l’anemone si abbarbica. Un sapore unico che condensa bene mollusco e verdura, quasi che renda conto al gusto, da sempre, di questa duplice natura genetica scoperta di recente.

Dicevamo che i popoli del Mediterraneo mangiano da sempre l’anemone di mare. Le tracce scritte più antiche risalgono al quarto secolo avanti Cristo: Archestrato di Gela, poeta e buongustaio della Magna Grecia, propone di cuocere gli anemoni assieme alla schiuma di mare, i bianchetti. Appena scaldati in padella con un po’ di olio. Il consumo alimentare degli anemoni è particolarmente diffuso in Spagna, nell’Andalusia, dove le ortiguillas rappresentano una sorta di portabandiera della cucina della costa. In Italia l’utilizzo in cucina è diffuso in Sardegna nel Cagliaritano, dove gli anemoni vengono chiamati Orziadas, e nell’Oristanese, dove il nome cambia in Otsiadas. La preparazione d’elezione, comune anche all’Andalusia e alle altre località italiane è la frittura: raccolte, pulite, infarinate e fritte. Inoltre viene preparato un sugo con pomodorini e bottarga.In Calabria, vengono consumate a Diamante, sul Tirreno, dove vengono chiamate jùjime (giuggiole): oltre alla frittura si prepara una zuppa, la cuajada. In Sicilia vengono consumate principalmente nel Trapanese, in provincia di Catania e nelle isole Egadi.

Nel Salento si chiamano irdicule o verdicule. Nei tempi recenti il loro consumo è scemato, ma fino a una trentina di anni fa era molto difficile reperirle a causa di una raccolta intensiva per uso familiare. Grandi fritture, innanzitutto, con pane di semola e vino rosso, ma anche creme, prevalentemente in bianco, per condire la pasta. Non c’è mai stato un mercato vero e proprio come invece avveniva in Sicilia ai tempi di Archestrato. Anche ai nostri giorni la raccolta e la vendita, nel Salento come in Sicilia, è un rapporto chiuso pescatori ristoratori. Al mercato ci pensano però gli spagnoli: in Rete ci sono fornitori altamente specializzati, che propongono vasetti di anemoni surgelate a 13 euro e 90 per 120 grammi. Sul risultato, da parte nostra, nessuna garanzia. 

Antonio Muci

Giornalista professionista, salentino, è stato nel 1979 tra i fondatori del Quotidiano, di cui, per decenni è stato caporedattore centrale. Dopo la pensione, ha curato la rubrica Gustosofia, un paginone dedicato al cibo e al vino, raccontando gli alimenti di stagione, di terra e di mare, le loro proprietà organolettiche e nutrizionali, la loro storia e il rapporto con il territorio salentino.  Per ogni alimento uno chef ha declinato un intero menu: nel complesso, oltre 600 ricette che evidenziano la vivacità della ricerca gastronomica in Puglia e nel Salento in particolare. In associazione al cibo, nella rubrica, sono state proposte più di 120 etichette di vini pugliesi. È stato relatore in convegni attinenti le problematiche del cibo e, grazie all’impegno nell’associazione Slow Food (è consigliere nazionale supplente), ha guidato laboratori del gusto non solo in Puglia, ma anche al Salone del gusto di Torino, al Vinitaly di Verona, a Slow fish di Genova.